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14-12-2015
CLIMA ED ABITUDINI ALIMENTARI
Le capacità di adattamento delle popolazioni umane ed animali al clima e agli alimenti sono legate alle risorse naturali che da sempre hanno caratterizzato l’ambiente di vita nel quale si sono evolute. Uomo ed animali hanno perciò proprie esigenze climatiche e abitudini alimentari differenziatesi secondo gli ecosistemi naturali (nelle grandi linee distinti in zone desertiche, aride, subaride, sub-umide ed umide) che sono caratterizzati dai fattori climatici determinati dalla latitudine e dall’altitudine (temperatura media ed escursioni; piovosità e umidità; durata, composizione e intensità della radiazione solare; movimenti dell’aria). Questi ecosistemi selezionano i tipi genetici (fisio-anatomici) animali più idonei all’ambiente nel quale vivono e che hanno acquisito la capacità di sincronizzarsi alle variazioni del clima, delle disponibilità alimentari, dei patogeni. Dal circolo polare artico all’equatore il tipo metabolico di un esquimese, di un lappone o di un nordeuropeo non è uguale a quello di un europeo mediterraneo o di un africano (bantù o nordafricano). Egualmente le specie e le razze animali adatte ai diversi climi hanno diversità nella tolleranza termica; per le specie vedi le differenze tra orice, cammello, zebù, bovini europei, renna e tra le razze per i bovini si va da sanga, brachiceri, podolici, razze mediterranee, razze alpine, razze del Nord Europa.
Ciascuna delle popolazioni animali autoctone ha proprie esigenze alimentari compatibili con le risorse naturali del proprio ambiente e, gestite nelle condizioni ambientali e con sistemi di allevamento naturali, rispondono pienamente alle necessità delle popolazioni umane della propria area, comprese le qualità nutrizionali delle produzioni. In ciò aiutano i comportamenti adattativi a livello anatomico e fisiologico che sono diversi secondo il tipo genetico. Sono numerose infatti le reazioni fisiologiche che riguardano l’incremento metabolico ed i meccanismi di termoregolazione e che, anche nell’uomo, si differenziano secondo l’adattamento all’ambiente: il consumo e la capacità di utilizzazione degli alimenti; la disponibilità ed il consumo di acqua; la produzione, l’immagazzinamento o la dissipazione del calore dei principi nutritivi; l’assorbimento del calore dall’ambiente; l’accelerazione del ritmo respiratorio e della ventilazione polmonare; il sistema circolatorio superficiale ed il raffreddamento cerebrale, la vasocostrizione e la vasodilatazione centrale e periferica, il ritmo cardiaco, la composizione del sangue (per la maggior tolleranza ai climi estremi sono utili un alto livello di emoglobina, di eritrociti e del peso specifico del sangue); le caratteristiche della cute e della superficie corporea esposta al sole (colore, estensione e spessore), la densità e l’estensione della copertura pilifera (diametro, lunghezza e colore del pelo), il numero e l’intensità di funzione delle ghiandole sudoripare; la localizzazione dei depositi adiposi.
La capacità degli animali di vivere e riprodursi in luoghi diversi da quelli di origine è perciò limitata e sono rari i casi di acclimazione spontanea senza l`intervento dell`uomo e per lo più legati alle razze cosiddette cosmopolite cioè meno sensibili alle differenze di clima. Il trasferimento di animali dalle zone temperate a quelle calde ha sempre comportato problemi e negli anni ‘60 la letteratura scientifica si soffermava spesso sui problemi del bestiame introdotto in zone calde da zone temperate (Dudan, 1942; Faulkner e Brown, 1953). Io stesso allora raccomandavo: la migliore definizione del clima per orientare la selezione e l`importazione del bestiame; una maggiore conoscenza dei fenomeni di resistenza al calore; ma, soprattutto, la selezione del bestiame autoctono e allargamento della loro area d`allevamento.
Gli allevatori hanno la possibilità di offrire agli animali trasferiti una appropriata alimentazione e possono avvalersi della variabilità individuale per selezionare i soggetti che presentano un maggiore adattabilità all’ambiente climatico nel quale si vuole introdurli; resta però esclusa la qualità dei prodotti che viene vincolata alle condizioni nutrizionali che l’uomo gli propone. La qualità nutrizionali delle produzioni delle specie e delle razze autoctone della propria regione gestite nelle condizioni naturali rispondono infatti pienamente alle necessità dell’uomo della propria area che ne consuma i prodotti: bovino, bufalo, pecora, capra, cavallo, asino, suino, coniglio, lepre ed altra selvaggina, pollo, tacchino, anatra, oca, fagiano ed altri avicoli, crostacei, molluschi, pesci di acque dolci o di mare, ma anche cane (chow chow), gatto, yak, gayal, banteng, dromedario, battriano, lama, alpaca, vigogna, guanaco, renna, capibara, topi, struzzo, coccodrillo, tartaruga, serpenti, ecc. Per gli animali domestici le condizioni di allevamento (clima, maggiore o minore disponibilità di alimenti, maggiore o minore l’attività motoria) controllano l’evoluzione delle tipologie delle fibre muscolari (chiare e scure) e delle proteine miofibrillari (actina e miosina) e sarcoplasmatiche; in particolare le proteine muscolari presentano livelli diversi di creatina (con effetto preventivo contro i radicali liberi) e di aminoacidi indispensabili soprattutto ramificati (valina, leucina e isoleucina) utilizzati per la sintesi dei neurotrasmettitori e dei neuromodulatori quali le endorfine ad effetto placebo (la droga della felicità) e di calmodulina e carnosina (che controllano i livelli intracellulari del Ca). Nei prodotti di questi animali trova i pigmenti trasferiti con il pascolamento tradizionale dagli alimenti di origine vegetale ai quali da sempre è stato abituato il proprio genotipo: xantofille, licopene, fucoxantina, luteina, violaxantina, zeaxantina e neoxantina, ma anche carotene e carotenoidi e sesquiterpeni e una particolare abbondanza di molecole antiossidanti vitaminiche (A, D, E soprattutto alfa-tocoferolo). Di Dario Cianci
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