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08-06-2015
L’impatto sull’ambiente dell’allevamento animale.
Secondo la FAO la maggiore destinazione delle terre è oggi per l`allevamento, che utilizza il 30% della superficie terrestre e il 70% delle terre agricole; negli ultimi decenni è aumentato perciò l’interesse sui danni all’ambiente provocati dall’allevamento animale per l’uso eccessivo delle terre e il consumo e/o l’inquinamento di risorse (suolo, qualità e disponibilità di acqua, aria ed energia, perdita di biodiversità, diffusione di malattie). I vegetariani, e in particolare i vegani, lanciano l’ipotesi che il rimedio potrebbe essere la eliminazione degli alimenti di origine animale dalla dieta umana. La soluzione, però, dovrebbe essere cercata non tanto nella eliminazione dei prodotti di origine animale dalla dieta ma nel controllo del loro abuso e nella individuazione di popolazioni animali e tecnologie in grado di ridurre i rischi. Anche l’UNEP (United Nations Environment Programme, 2010) non ritiene possibile la loro eliminazione dalla dieta, considerate le esigenze nutrizionali dell’uomo.
Uno dei rischi maggiori nell’allevamento intensivo dei Paesi industrializzati, dove molti animali vengono allevati in aree ristrette, è la contaminazione dell’ambiente e delle risorse idriche per la diffusione di agenti patogeni da animali vivi o dalle loro deiezioni solide e liquide ricche di azoto e fosforo (che di norma non provocano problemi alla fertilità dei suoli), metalli pesanti (rame e zinco derivati da integratori alimentari dei mangimi) od anche contaminanti di natura batterica (Escherichia coli, Salmonella, Clostridium botulinum, Microsporidia, Giardia lamblia, Fasciola hepatica), virale (Picornavirus, Parvovirus, Adenovirus) e parassitarie che, sparsi sul terreno o per dispersione accidentale, possono provocare l’eutrofizzazione delle acque. Anche l’uso di farmaci o di detergenti e disinfettanti negli allevamenti rappresenta una quota elevata del consumo totale ed una parte di essi si disperde nelle acque e può provoca nei batteri una antibiotico-resistenza.
L’emissione di gas quali anidride solforosa ed ammoniaca ha un impatto significativo sull’ambiente; possono infatti provocare irritazione di pelle, naso e occhi, bronchiti e tosse, dispnea, raucedine, cefalea, nausea, diarrea, tachicardia, ma anche alternanza dell’umore, irritabilità e depressione. Anche il metano, quale sottoprodotto della digestione o originato in stalla durante il trattamento delle deiezioni contribuisce alla distruzione dell’ozono e provoca disturbi da odori. L’anidride carbonica emessa dagli animali contribuisce all’effetto serra, cioè consente la penetrazione dei raggi solari fino alla superficie terrestre, ma non ne permette l’uscita dall’atmosfera, provocando l’aumento della temperatura terrestre.
Bisogna perciò ricorrere ai rimedi con le migliori tecnologie disponibili (MTD) per favorire il risparmio di acqua ed energia e ridurre l’emissione di inquinanti nelle deiezioni (in particolare azoto e fosforo) migliorandone la raccolta e la depurazione o riducendo la quantità di deiezioni per unità di prodotto ottenibile con l’aumento del livello produttivo; gli animali più produttivi usano meno foraggi e le loro deiezioni sono ripartite su una maggiore quantità di prodotto. Un efficace controllo delle emissioni si ottiene anche con l’allevamento tradizionale delle razze autoctone idonee a valorizzare il proprio agro-ecosistema. Questi soggetti hanno la capacità di adattamento alle condizioni climatiche dell’area di allevamento e sono in grado di utilizzare i foraggi locali, meglio se spontanei (pascoli e prati-pascoli permanenti) attraverso il prelievo diretto e la restituzione diretta delle deiezioni per mantenere la fertilità del suolo. Inoltre nelle razze autoctone la resistenza genetica verso le principali patologie infettive ed infestanti acquisita in secoli di selezione naturale, consente la riduzione dei trattamenti farmacologici e di loro residui nelle produzioni animali e nell`ambiente.
Di Dario Cianci.